giovedì 17 dicembre 2015

Romain Desgranges: SO HIGH. Note in margine.


Romain Desgranges cresce nel silenzio dittatoriale del deserto di Joshua Tree.

Come un asceta parte per un viaggio di sola andata, perché al ritorno un'anima nuova avrebbe preso il posto della confusionaria ed eccitata tipica del garista moderno.

Romain Desgranges sembra fluttuare senza peso sul giallo granito del deserto, dotato di una precisione e di una calma sovrumana ed extrasensoriale. In contatto con la natura, percepisce la necessità del momento.

Questa è una storia di roccia

una di quelle storie che ci piacciono, che ci fanno ancora credere nel valore ultimo di questo sport.

Rock Stories è sensazione, vedersi vedendosi, sentirsi sentendosi, scalare scalandosi.

Per me hai già vinto la tua coppa del mondo, perché la tua scalata ha un peso significativo che va oltre una misura pseudo-scientifica come il grado e barbara come la gara. 

E non si vede un limite a questo deserto, solo cactus e Romain, parte integrante armonica del deserto. 

Forse l'amico che si vede all'inizio era solo un totem protettore, uno spirito necessario alla rivelazione.


venerdì 22 agosto 2014

Ritorno alle origini



Eccomi qui, ai piedi della parete nord del Latemar, sopra di me solo roccia e cielo e nuvole; dietro un fitto bosco di abeti, magico groviglio di favole e leggende e mito. 
Per la prima volta sulle Dolomiti senza la compagnia dei miei genitori, e non nego che ciò mi fa un certo effetto, dopo più di venti vacanze su queste stesse montagne passate insieme.

Tutto ciò mi fa riflettere; la solennità e la possenza della roccia aiutano a sciogliere il bandolo della matassa: 

l’uomo viene e va, la natura no. 

Eppure siamo noi e la nostra debolezza a creare scompiglio all’interno e fuori dal mondo; la natura si muove, soffre e continua senza lamentele la sua esistenza, sapiente del proprio costante e lento cambiamento. Non piange le perdite come noi, perché è più forte di noi, conosce più segreti di noi, è meno corrotta di noi…

Sotto i muri verticali del Latemar il forte vento fa cadere qualche sassolino dalle maestose pareti, le belli e decadenti pareti di dolomia: i pilastri di roccia si stanno piano piano sempre più sgretolando, e noi, anime entranti, abbiamo appena superato il “cimitero degli elefanti”: una pietraia infinita da far venire i brividi solo a passarci in mezzo, tra il vento e l’eco prodotto dal vuoto intorno a noi.  Toc, puc, crop, e la pietra è giù nel labirinto, ha occupato uno spazio libero nel cimitero della montagna.

Ritorno alle origini

 alla pura contemplazione della natura, alla riscoperta di quanto sia divertente faticare con le gambe e non solo con le dita.
Doccia fredda di umiltà a chi, come me, si era quasi scordato del perché e come abbiamo iniziato a scalare; di quanto sia bello respirare a pieni polmoni dopo aver accelerato i battiti; di quanto sia bello non guardare sempre in alto una singola striscia di prese, ma abbracciare la totalità con lo sguardo, cercando di registrare qualsiasi colore, riflesso, animale, pianta, sorgente del mondo attorno a noi, e poi, sì, sognare di arrivare lì dove hai guardato per tutta la durata del tragitto, mentre immaginavi come sarebbe stato, cosa avresti visto. 
Camminare verso una purificazione dai meccanismi-gabbia della società, dal lavoro allo sport, passando per il futuro incerto, i rapporti umani, i propri progetti e timori, i probabili, inevitabili errori e le miracolose conquiste.

Ora l’importante è stare qui sotto e godersi questo momento.

Ora l’importante è essere graffiato dal gelido vento estivo che cavalca l’aria d’alta quota, sottomettersi a questa realtà composta di irraggiungibile semplicità: polvere, sassi, freddo, orizzonte, nuvole, grigiore.  E sentirsi felici, oltre l’inadeguatezza dei primi giorni, lontano dai deliri materialistici del ragazzo consumista.
Questa volta non ho bisogno di vincere una fantomatica battaglia contro me stesso, la roccia, il mio passato ecc., ma di perdere (sì proprio di perdere) il confronto con chi non ha bisogno di confronti, perché consapevole della propria esistenza, dei propri cambiamenti.  
Non bisognerebbe mai affezionarsi alla bellezza e ai propri traguardi, perché la natura non piange una roccia che si sgretola, un fiorellino che muore o la morte di un animale. 



Ora partirò, e tutto sarà diverso. 

Come quel piccolo granello di roccia che si stacca dalla parete della sua esistenza per andare a risiedere lontano, indipendente. Toc, puc, crop, il sassolino rotola, rotola giù fino a che magicamente si ferma. Che sia io quel sassolino appena osservato? Già si confonde nella pietraia, già si è ambientato fra i suoi simili, quel simpatico e bravo sassolino!
Dovevo tornare in montagna per volgere lo sguardo ai veri meccanismi della vita…





Mi sono lasciato alle spalle il bosco di Carezza per entrare deciso nel labirinto del Latemar. Cammino ormai da più di due ore, ricurvo per il peso dello zaino, come un monaco in continua adorazione del suo dio.
Passo in mezzo a questa insenatura, e tutto mi sembra così insensato. Impossibile rimanere impassibili, attratto tasto la pietra: è fredda; la annuso: sa di storia, sa di vite: emana un profumo glaciale indescrivibile, muschio e pietra, un fresco intenso assale le mie narici. 




Rimarranno solo i ricordi di questa splendida settimana?

Ora partirò e tutto sarà diverso…

Sarà stato il caso o il mio particolare momento storico, ma la metafora della montagna come ostacolo della vita mi è balenato agli occhi immediatamente, il tutto a pochissimo dalla mia partenza.
E proprio lì dove conservo i ricordi delle estati più belle, proprio lì ho compreso la difficoltà di dire “addio”; proprio lì ho compreso la dannosità di essere isole e la fortuna di essere montagne.

Che da sassolino diventi una montagna allora. 




venerdì 25 luglio 2014

Libertà d'urlare


Sebbene tu sia annodato ad una corda, l’arrampicata, in tutte le sue forme, è pura libertà

Ognuno si senta libero, a fine articolo, di dire quale libertà gli suscita l’arrampicata, oppure se si sente vincolato dai rigidi schemi atletici e tempistici del nostro sport. 

Gioia e dolore

Un giorno sul treno lessi un articoletto in cui lo scrittore esprimeva la propria stanchezza nei confronti del mondo dell’arrampicata in generale, ammettendone però l’invincibile fascino, quasi come una sofferta ammissione di dipendenza. 
Ebbene non mi è piaciuto neanche un po’. Traspariva tra le righe, oltre al tentativo fallito di superiorità ( tipico di colui che crede di “vedere” più degli altri, brutto vizio degli “intellettuali non intellettuali”), anche una visione distorta di questo sport, così intenso e severo quanto dolce e unico
Lo scrittore è uno di quelli che non ha capito il perché valga la pena faticare.

Il bisogno d'emersione

Porta all'egoismo, all'odio, a voler uccidere il proprio nemico. Non a giocare con lui. 
E così l’incantesimo si rompe. Ucciso il tiro o il boulder ossessione, una grande scarica di adrenalina sazierà il suo es per un breve lasso di tempo finché, esaurita la scarica, già in macchina nel tragitto di ritorno, si ritrovera solo soletto a pensare:«E ora? Cosa è cambiato nella mia vita? Ora metto il tiro su 8a, così tutti vedranno...». E il circolo ricomincia, fino all’implosione:«Lo sai? Mi sa che me so’ rotto er cazzo de scala’...»

Senza competizione non c'è gioco

Ma il confine tra una sfida e una guerra è labile.
Ognuno di noi, almeno una volta nella vita, ha provato invidia per qualcuno di più forte, sperando in gran segreto in una scivolata proprio sotto la catena o di arrivare per primi alla vetta. la competizione è ciò che alimenta uno sport, ciò che permette ad uno sport di superarsi.
Tuttavia, se i denti cominciano a digrignare inconsapevolmente, la schiena ad ingobbirsi, il taglio dell'occhio a calare, a sorridere sempre meno, ad avere mal di stomaco, a pensare alla settimana lavorativ, fate ciò che dice Gandalf: «Fuggite sciocchi!»

Smettere di scalare per un po’ o per sempre non è per forza una tragedia.

Il racconto di Tequila sunrise è solo un semplice spunto per varie riflessioni.
Vidi la via ormai più di tre estati fa per la prima volta e mi fece subito impressione per bellezza ed immediatezza. Mi avvicinai alla via come uno studentello si avvicina al professore più vecchio e temuto della facoltà.
Caddi nella trappola dei più forti e mi convinsero a farci un giro; dicevano che era perfetta per imparare a volare. 
«Ehm... sì perché no... Un attimo vado giusto giusto a fare una passeggiata e poi sono pronto...».

Non riuscii a scappare.

Per un bel po’ non misi più piede nei dintorni di Tequila, sebbene ogni tanto durante l’anno la mia mente sognava di scalarla, si auto convinceva di poterla liberare. Così l’estate del 2012, un anno dopo, decisi di farci una capatina. Avevo liberato durante l’anno alcune vie della stessa difficoltà, e quindi tentai l’impresa. Nel frattempo il buon Mattia l’aveva liberata. Quel giorno ci feci tre giri, e constatai quanto quel dannato pezzo di roccia mi metteva in soggezione, forse per la pendenza, forse per la roccia scura; fatto sta che scalai sempre come se stessi scalando la schiena di un gigante pronto a colpirmi con la propria clava o ad afferrarmi e stritolarmi nella sua morsa.

Fino all’altro giorno.



L’idea di provare nuovamente la via mi venne un tardo pomeriggio, eravamo appena saliti in auto per tornare a casa (ancora emozionato per la veloce libera di Supernatural, altro 8a alla Segheria) e guardando il panorama scorsi tra gli alberi la grotticella di Tequila, e le immagini degli anni passati invasero la mia mente, passando una dopo l’altra sotto i miei occhi. Un secondo che sembrava infinito; immediatamente decisi di voler tornare a provarla, carico e motivato come non mai.
Attesi una settimana. Una volta alla base della via ogni ricordo mi tornò vivo in mente e un fremito percorse la mia schiena, come un freddo serpente che ti scivola sulle membra. 

Ecco perché adoro questo sport

La roccia non risparmia a nessuno il duello; schiaffeggia chiunque senza problemi con il guanto di sfida. Sa colpirti proprio lì dove sei più debole: i ricordi invasero la mia mente e le emozioni presero il sopravvento. Troppa era l’emozione per mantenere la lucidità: scalavo con uno sguardo totalmente rivolto al passato, senza rendermi conto del fatto che oggi e ora quella stessa fatica non esisteva più!  
Scalavo provando verso quel pezzo di roccia una grande forma di rispetto e gratitudine: se questi cinque anni di arrampicata sono passati così velocemente, come un giorno di luce in pieno inverno, lo devo anche al battesimo del volo fatto su Tequila, confortevole, sicuro, perfetto. 
La giornata passò in un baleno, felice di questo ritrovamento, felicissimo di tornare, ancora, per un’ultimo storico duello.

Solo io e te baby

La prossima volta, l’ultima e definitiva, ti dimostrerò cosa ho imparato, cosa mi hai insegnato; senza alcuna pietà ti salirò e tu non potrai assolutamente farci nulla. Panta rhei cara mia.

E così fu. 

E devo ammettere che fu stranissimo. Ero molto agitato, come se avessi esorcizzato un demone dal mio petto. 
Il giorno prima per tutto il Lazio cadde un quantitativo d’acqua veramente esagerato, ma io non intendevo abbattermi.
Il giorno dopo tutto zuppo... Incredibile. 
Via dopo via, sempre più sconsolato, mi accingevo ad affrontare la dura realtà. Per rabbia, quasi per punizione forse, l’avrei provata comunque. 
Comincio a vedere da lontano la roccia di Tequila... Asciutta!

Libero ma dispiaciuto, c’eravamo tanto divertiti... 

Così è la vita, così va il mondo. Che senso ha la vita se non la continua ricerca della passione? Avevo un piccolo sogno, l’ho portato a termine e sono molto soddisfatto. 

Vorrei che tutto il mondo si muovesse in base ai sogni 

Utopie, infantilismi... lo so bene. Tuttavia se c’è una cosa che questo sport può veramente insegnare alla società è l’impegno nel realizzare un sogno, la determinazione e la costanza nell’affrontare le sfide della vita.
Invece più facilmente finisce per diventare un surrogato triste della stessa società, dove invidia, depressione e presunta impotenza motivano falsità (verso gli altri e verso se stessi), rabbia gratuita e velenoso spirito di rivalsa.
Inutile negare che vedere certe scene ed ascoltare certe riflessioni mi fanno passare la voglia di arrampicare, perché mi ricordano sempre che quel mondo incantato fatto di sport alternativo immerso nella natura esiste solo di facciata.
Bene, è ora di cambiare questa mentalità; e ancora una volta siamo noi giovani a doverla eliminare.





martedì 6 maggio 2014

Rock talk




A volte non sai bene il motivo del perché certe cose accadono, fatto sta che un giorno seduto con la faccia rivolta sulla mia scrivania mi venne in mente di intervistare Pietro Radassao, senza sapere che solo pochi giorni dopo sarebbe uscita la guida edita da Versante Sud A Sud, dove Pietro è coautore insieme a Graziano Montel. 
Eppure la voglia di approfondire la conoscenza di questo ragazzo era forte anche senza sapere del suo debutto nel mondo “letterario”. 
Conobbi Pietro per caso un giorno a Frosolone, mentre scendevo da uno splendido 7b chiodato proprio da lui, una di quelle vie gioiellino ai lati della falesia che conta, una di quelle linee nascoste ma fantastiche che solo un grande esperto riesce a scorgere dal basso, ad immaginare prima degli altri. Quindi non lo conoscevo e già lo ringraziavo.

Quel giorno era in compagnia del papà, fedele accompagnatore. Aveva con sé solo lo stretto necessario: le scarpette nella mano, un imbraco con già i rinvii attaccati e un sacchetto di magnesite. Lontano da qualsiasi tipo di abbigliamento tecnico, un pantaloncino da calcio basta e avanza, il giovane Pietro aveva un sorriso a 32 denti stampato in faccia, perché era lì a fare quello che ama, in mezzo alla natura, nella sua Colle dell’Orso.
Odia i gradi, pensa che la più grande forza dello scalatore è il compagno, la carica che ci si scambia prima di partire per un tiro, e ama e vive per la natura e per la roccia. Ogni pezzo di roccia che chioda è un frammento del suo cuore impresso sulla roccia. Vive e memorizza ogni splendido, unico momento passato a scalare e chiodare. 
Pietro Radassao è un ragazzo di Campobasso appena diciottenne e frequenta l’ultimo anno al liceo scientifico della città. Ha appena preso la patente e sta cercando di convincere il padre a regalargli la macchina. Un film già visto nelle case di molte famiglie... Solo che Pietro il pomeriggio non lo passa davanti alla play o al muretto sotto casa, scala e chioda come un forsennnato. Il giovane e talentuoso Pietro, lontano dal giro che conta dell’arrampicata molti e molti chilometri, ha già chiuso vie fino all’8b+ e liberato a vista qualche via di grado 8a. E pensare che prima 
di lui la via più dura salita da un molisano era 7c. Complimentoni.

Ciao Pietro, quando hai iniziato ad arrampicare? Soprattutto come ti sei avvicinato a questo sport?


Non ricordo di preciso l’età che avevo la prima volta che ho messo le scarpette ai piedi, forse 6 o 7 anni. Mio padre scala da più di 30 anni ed è stato lui ad insegnarmi l’arrampicata. Tuttavia fino ai 13 anni mi sono dedicato al judo a livello agonistico, e solo sporadicamente all’arrampicata. Di lì a poco ho iniziato ad impegnarmi seriamente nella scalata, che è divenuto il mio unico sport.

Cosa ti piace dell’arrampicata? Cosa ricerchi in questo sport?


In meditazione su Fagian Club, storico 6c di Frosolone
Dell’arrampicata su roccia ciò che più mi attrae è che non importa quale obiettivo raggiungi, c’è sempre un’altra via da salire. Muoversi in verticale è ogni volta un’avventura. 
Pietro su Principe Cacca, Pennadomo
La difficoltà della via non conta: le emozioni sono sempre intense, i movimenti da compiere sono dettati dalla natura e quindi mai scontati o ripetitivi; non esistono mai due prese perfettamente identiche. L’arrampicata è uno sport sempre vario e ti trasmette una libertà infinita. Ecco cosa amo dell’arrampicata. Walter Bonatti definiva l’arrampicata  «un mezzo convenientemente adatto alla propria etica per raggiungere le proprie aspirazioni». 
 Infatti io scalo per nutrire le mie ambizioni, non ricerco nulla di materiale. Non sopporterei di vivere una vita senza alcuna ambizione; che senso avrebbe? Da quel giorno ho deciso di dedicare tutto me stesso alla scalata, e coltivo i miei sogni grazie all’arrampicata.


Avatar | 8b | monte Moneta | Sperlonga

Quale disciplina ti attira maggiormente? Oltretutto sei giovanissimo eppure già hai all’attivo una discreta attività da chiodatore! 


La disciplina che amo è l’arrampicata in falesia, ma non disdegno il boulder e la scalata indoor, nononstante pratichi queste due attività poco e niente. Sì è vero: sono uno dei pochi ragazzi che a 15 anni già prendeva un trapano in mano e si cimentava nella chiodatura di nuovi itinerari mettendo un attimo da parte le scarpette d’arrampicata. Ho chiodato circa una trentina di vie, ne ho richiodata qualcuna e ho aiutato altri amici durante i lavori di manutenzione delle falesie. Mi ha sempre entusiasmato scovare nuove vie: andare alla ricerca di roccia vergine, intuire le linee disegnate dalla natura, lavorare come un mulo per attrezzarle ed infine toccare con mano ciò che prima avevo solo immaginato. La cosa più bella è proprio provare la via appena ultimata: non importa più che sia un quarto o un ottavo, in ogni caso ti divertirai molto; ogni via che ho chiodato è rimasta impressa indelebilmente nella mia memoria e di ognuna ne posseggo un ricordo stupendo.
Ultimo viaggio con Caronte L2 | 8c | Frosolone

18 anni e già hai accumulato tantissima esperienza. Sei coautore, insieme a Graziano Montel, della nuovissima guida di Versante Sud “A Sud”. Parlaci di questa esperienza.


Era da tempo che si sentiva la necessità di una nuova guida che trattasse le falesie molisane, soprattutto per la falesia di Frosolone. Già da un po' pensavo di scrivere una guida, così avevo cominciato ad accumulare il materiale online sul sito dell’Arpiglio, l’associazione di arrampicata fondata da mio padre. Successivamente prendemmo contatti con la casa editrice Versante Sud e un giorno mi avvisarono che era prevista di lì a pochi mesi la ristampa della vecchia guida del Sud Italia di Graziano Montel e mi proposero di unirmi al progetto inserendo del nuovo materiale. Iniziai immediatamente a lavorare per il progetto, raccogliendo ulteriore materiale, compresi storie e racconti di ascese inserite nel libro. Per correttezza ho contattato i primi chiodatori, al fine di ottenere le informazioni più dettagliate: credo che una guida sia ben fatta quando è il frutto di una collaborazione di più menti.

Viaggi di arrampicata ne hai fatti? Qual’è il posto che più ti ha colpito?


Non ho fatto moltissimi viaggi, ho scalato all’estero una sola volta, un’altra volta a San Vito e cinque o sei volte nel nord Italia. Mi sposto prevalentemente in luoghi che distano poche ore di viaggio. Ho visto molti posti entusiasmanti ma in tutta sincerità la falesia che più mi ha colpito e che ritengo sia la più bella che ho visto fino ad ora è Frosolone. Per me la roccia di Colle dell’Orso resta la migliore!

Allora parlaci del tuo rapporto con Frosolone!



Sono cresciuto nei prati di Colle dell’Orso... Ogni estate, appena iniziano le vacanze scolastiche, Colle dell’Orso si trasforma nella mia prima dimora e ogni malumore si allontana dalla mia mente. Diverse volte passo la giornata lì e basta, senza scalare; trovo piacevole isolarmi e meditare, osservare il vento che accarezza l’erba. Su circa 300 tiri non ne ho liberati solo una ventina, ma a parte ciò il mio rapporto con Frosolone è più profondo di quanto io stesso immagini, e mi è difficile spiegarlo chiaramente. Nei suoi spazi mi sento protetto e lì il mio animo si rasserena. Sono in simbiosi con questo luogo.
The Razors Edge | 7b+ | Frosolone

Credi sia una falesia sottovalutata dall’arrampicata che conta?


Piuttosto non adeguatamente 
valorizzata. Le istituzioni locali non comprendono il valore della falesia e non si impegnano per nulla nello sviluppo. Per quanto riguarda l’arrampicata Colle dell’Orso è solo poco pubblicizzata: non girano sul web molti video o articoli sul posto; tuttavia non conosco nessuno che dopo una vacanza a Frosolone se ne sia andato deluso! E’ brutto dirlo ma poiché i gradi sono un po’ stretti molta gente si dilegua ancor prima di provare! Il bello che ha ancora un enorme potenziale ancora inespresso: molti progetti (probabilmente di nono grado) sono ancora da salire, gli innumerevoli nuovi settori completamente da attrezzare e le numerose vie da chiodare sui “vecchi” massi rappresentano attrattive molto forti che potrebbero richiamare un grande numero di scalatori! Un solo accorgimento, scritto anche nella guida: «Il massimo rispetto per l’ambiente. Lasciamo che la bellezza di questo posto resti incontaminata. L’unica traccia del nostro passaggio sarà nella nostra memoria.»
Pace e bene | 7c | Frosolone

Ok Pietro. Ora parlaci dei tuoi progetti, prima “arrampicatori” e poi di studio.


Il mio progetto per il futuro è ovviamente scalare. Mi piacerebbe viaggiare molto una volta diplomato e chiodare nuove vie vicino a casa. Non parteciperò al circuito di Coppa Italia, il mondo delle gare non mi ha mai attirato ma magari il prossimo anno...
Probabilmente proseguirò  gli studi; mi affascina Dietistica alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi del Molise. Ho già programmato un lungo viaggio in Spagna il prossimo autunno, per provare una via che mi ha colpito... è un obiettivo molto ambizioso e devo allenarmi molto se voglio realizzarlo. Ce la metterò tutta!

Frattali Cosmici | 8a | Frosolone

giovedì 20 febbraio 2014

Climbing photography workshop

Climbing photography workshop


Fabiano Ventura, fotografo professionista di fama internazionale, sta organizzando un workshop di fotografia che si terrà il weekend del 12 e 13 Aprile. Sarà un occasione per imparare i trucchi del mestiere e le tecniche fotografiche sul campo, direttamente dal fotografo che ha collaborato con famosi climber come Lynn Hill, Ines Papert, Reinhold Messner, Hans Kammerlander e Stephen Siegrist. 
Fabiano Ventura photographer
Fabiano Ventura sito web


venerdì 17 gennaio 2014

BOULDER & POESIA

Eclipse | 7C | Fontainebleau | Ph. Marco Zanone

















Osservo e percepisco attraverso il tatto la sua materialità, la consistenza, il
colore, la ruvidezza, la porosità, la misura.

Così l’oggetto diventa me, parte integrante del mio essere 

Gli arti del mio corpo si modellano proprio come vuole la pietra: non c’è altro modo, è natura. È la roccia che si forma per essere accarezzata o è la mano che di volta in volta si trasforma, diventando
perfetta per quella presa? Si allarga si rimpicciolisce, si chiude e si ribalta: automaticamente si modella, basta saper osservare la pietra.
Vedo davanti a me questa sfera perfettamente levigata dagli agenti
atmosferici, conquistata, dopo mille battaglie, dalla vegetazione locale; non
necessita di essere immensa o impervia per attirare la mia attenzione.

È l’armonia 

Il segreto di tale fascino: la perfetta canonizzazione delle proprie
misure. La poesia è il trionfo di tale mensura.

Un verso. Basta un solo perfetto verso e la poesia può dirsi conclusa

Il problema è la ricerca di tale perfetto verso.
E la sfera è l’estasi della vista...

Un movimento.  Basta un solo perfetto movimento per creare poesia.

L’esagerazione è sempre volgarità, e violenza.
L'Arte non si alimenta con opere perfette, finite.
Così nell’arrampicata: non esiste la via perfetta, dove tutto è necessario e
motivato; è un gioco bellissimo, ma non è Poesia. È la vita che si rifà
verticale, il gioco della nostra esistenza: momenti di massima tensione che si alternano a momenti di riflessione o di preparazione.

La Poesia è la dimostrazione che la vita è altra cosa


Big Jim | 6C | Fontainebleau | Ph. Marco Zanone

La via è come il buon romanzo per il lettore medio: ci innamoriamo della storia continuando assiduamente la lettura. Una volta finito ne iniziamo un altro, dimenticandoci all’istante del precedente.
Pochi realmente sono assuefatti costantemente dall’armonia verticale: così irrimediabilmente diventa spesso sempliciotta, un passatempo, forse ai limiti della volgarità.

La Poesia è indimenticabile proprio perché perfetta

La gestazione è infinitamente lenta, è un processo di crescita che coinvolge tutte le sfere
della letteratura: autore, opera, lettore. Le generazioni di oggi leggono ancora la poesia? Il consumismo sfrenato ha indebolito tale esigenza nell’animo dell’uomo, assuefatto oggi dalla sovrapproduzione di cose.
Osservare, riflettere, speculare su un oggetto sono attività lontane, difficili, originali, rare. Se non si capisce si butta, si affastella nel cestino degli scarti, si aspetta il 2.0, l’aggiornamento.

Il boulder è la Poesia.

Non può non piacere, per il semplice fatto che è il secreto dell’arrampicata.
Eppure spesso si odia. Spesso è incomprensibile. Ci stressa e ci impegna
soprattutto mentalmente: è essenziale, e ciò disturba enormemente la nostra
logica. Non è rilassante, non esiste il riposo. Necessita di una breve ma
intensa concentrazione, stancante e snervante: disattivi e riattivi al massimo
dei giri il motore. È quasi scienza. Sicuramente è teoria applicata. Per
questo viene prima di tutto.

Poussah|Fontainebleau|Ph. Marco Zanone


Non ci sarebbe la prosa senza la Poesia, così come non esisterebbero le viesenza il boulder. 

Lo studium del movimento è la linfa vitale di questo sport: ciò che permette la progressione tecnica e tecnologica generale. Uno sportivo imparziale deve saper andare oltre le componenti (irresistibili) dell’altezza, dell’adrenalina, della lunghezza, dell’esposizione ecc… Provate
a immaginare un’intera via formata da 30-35 passaggi memorabili: impossibile, quasi irreale. 

Ma l'autore del primo non siamo noi

In questo caso l’arrampicatore è il lettore del libro della natura, sta a lui decidere se esserlo distratto o acuto.
Niente è intercambiale in Poesia, niente si può fare a meno di leggere.
La letteratura è essenziale perché è l’espressione più sofferta del nostro passaggio sulla terra; che sia prosa o che sia poesia.
E il vero amante della letteratura sa che l’amore va oltre la formala durata o
le aspettative

Ricordo un passaggio

Allarghi il braccio sinistro, alzi un po’ il piede in aderenza su una depressione e vai alla
presa successiva; no.
Un solo modoindice e anulare tenendo sopra il medio, con il pollice su un
preciso cristallino lontano, con il piede su una virgola più scura, senza motivazione sensibile.
Questa è Poesia. È scomposizione, è analisi, è perfezione.

Cusiniere|Fontainebleau|Ph. Marco Zanone